domenica 30 settembre 2012

Quel caldo maledetto giorno di fuoco

1968, di Paolo Bianchini. Con: Robert Woods, John Ireland, Roberto Camardiel, Rada Rassimov, Claudie Lange, Ida Galli, Georges Rigaud, Gérard Herter, Tom Felleghy, Ennio Balbo, Tiziano Contini.

Quel caldo maledetto giorno di fuoco è un caso quasi paradigmatico (ed estremo) di utilizzo del western come contenitore, una delle grandi intuizioni dei registi italiani che si cimentarono con il genere dagli anni '60 a seguire. Nella pellicola in questione, infatti, il western si limita ad essere mero recipiente di quello che è un film di spionaggio a tutti gli effetti, dove la guerra fredda tra USA e URSS è sostituita dalla guerra di secessione americana tra Unionisti e Confederati ed in cui ritroviamo tutti i cliché e gli elementi caratterizzanti del genere spionistico. E non si tratta di una mera riproposizione di un personaggio e di alcune sue caratteristiche come era avvenuto con altri spaghetti (basti pensare al debito che Sartana ha acceso in favore del James Bond cinematografico), ma della completa traslitterazione di tutte le peculiarità di un genere all'interno di un altro, che si limita a fare da involucro: del western troviamo l'ambientazione storica e la conseguente caratterizzazione dei personaggi, ma per il resto lo script si rifà pedissequamente allo spionaggio. Spie, traditori, intricatissimi sotterfugi, un villain preda di deliri di onnipotenza (tiene in pugno sia i nordisti che i sudisti con la super arma - una mitragliatrice - sottratta, contestualmente al suo inventore, agli uni per poi ricattare entrambi), di cui conosciamo la voce ma che svela il suo volto solo verso il finale, e tanto di love story conclusiva tra la spia nordista e l'affascinante e bellissima spia sudista. E potrei continuare.
L'innesto funziona - soprattutto agli occhi di chi, come lo scrivente, ama tanto il western quanto lo spionaggio - soprattuto grazie alla prova registica di Paolo Bianchini, che dimostra di sapersi muovere dietro la macchina da presa con eccellente tecnica e con una certa inventiva. Non è un caso che questo film, non conosciutissimo, sia molto amato da Quentin Tarantino, che lo ha citato in almeno un paio di circostanze: Kill Bill Vol. 2 e l'episodio da lui diretto della serie tv C.S.I., intitolato Sepolto vivo (Grave danger), con l'idea della sepoltura e della "resurrezione" e la trovata (d'impatto) della soggettiva del "seppellendo" nel momento in cui viene ricoperto dal terriccio.
Molto belle le scene in notturna, ben girate ed efficaci grazie ad un effetto notte particolarmente riuscito.
Da segnalare, per gli amanti del genere, la presenza di almeno una scena ai limiti dello splatter: l'estrazione della pallottola dalla mano con il coltello, robe che Rambo a confronto pare un'educanda che sviene al solo pensiero del sangue.
Bravi il protagonista Robert Woods (fisionomicamente, un incrocio tra Giuliano Gemma e George Hilton!) nei panni del super 007 nordista Chris Tanner, addestratissimo e affascinante con le donne, che ama senza scrupoli per ottenere informazioni preziose (l'accostamento a James Bond è inevitabile, anche se Tanner è totalmente privo dell'ironia e della leggerezza tipiche del personaggio creato da Fleming) e l'antagonista principale (che, come la milgior tradizione impone, non è il villain a capo dell'organizzazione) John Ireland, che impersona l'avventuriero mezzosangue Tarpas. Si difende con onore anche Roberto Camardiel nelle vesti del medico/spia Alan Curtis, che utilizza il suo studio come copertura per l'attività di controspionaggio.
Bella la colonna sonora "swingata" di Piero Piccioni, con l'organo sempre in primo piano a farla da padrone.










mercoledì 19 settembre 2012

Arizona Colt

1966, di Michele Lupo. Con: Giuliano Gemma, Fernando Sancho, Corinne Marchand, Rosalba Neri, Nello Pazzafini, Roberto Camardiel, José Manuel Martin.

Spaghetto allo stato puro, che gioca a mescolare le carte di Per un pugno di Dollari e Una pistola per Ringo (insieme a Django, i due grandi archetipi della fase iniziale del genere), con un certo gusto e una sorprendente efficacia, grazie ad una sceneggiatura caratterizzata da un ritmo vivace e dialoghi brillanti, farciti di umorismo nero, e la puntuale ed impeccabile regia di Michele Lupo.
Spaghetto puro, dicevo, e gli ingredienti ci sono tutti: Giuliano Gemma in grande spolvero (che rifà una variante un po' più bohémien e cinica di Ringo), Fernando Sancho che, come la tradizione impone, impersona un bandolero messicano feroce e ridanciano, capo di una banda che si rifornisce di nuovi adepti liberando detenuti dalle carceri, con la passione per gli orologi, da cui il nome Gordon Watch («Questo orologio d'oro era di mio padre. Un giorno mi disse: "Figliolo, quando morirò, questo sarà tuo". Cinque secondi dopo era mio!»), il sempiterno vecchietto con la voce di Lauro Gazzolo, l'amtieroe che alla fine parte da solo verso l'ignoto, lasciandosi alla spalle ogni tipo di potenziale legale affettivo, e via discorrendo.
Spassosissimo il personaggio di Doppio Whisky, interpretato con i giusti toni dallo spagnolo Roberto Camardiel.
Gli elementi ripresi dai primi film di Leone e di Tessari sono piuttosto evidenti. Arizona Colt è in prigione e viene liberato; in seguito affronterà ed eliminerà i banditi messicani guidati da Sancho, come Ringo. E come Ringo ha un tormentone: "Ci devo pensare". 
Inoltre, viene ridotto in fin di vita dal villain per poi essere curato e presentarsi al duello finale annunciato da un'esplosione ed utilizzando un espediente che inganna l'antagonista, come lo straniero senza nome quando affronta Ramon. Si potrebbero leggere anche richiami a Django (la menomazione delle mani di Arizona Colt), ma non è chiaro quale dei due film sia stato girato prima, per cui lasciamo in sospeso il commento...
E se da una parte viene ripreso il lato più umoristico di Ringo, nel contempo sono presenti gli elementi più violenti tout court della poetica leoniana. Il body count, infatti, è piuttosto imponente e non mancano scene più forti e del tutto scevre dalla leggerezza messa in scena da Tessari, come lo stragolamento di Dolores (una super sexy Rosalba Neri) o il ferimento di Arizona operato con un certo sadismo da Gordon Watch.
Bella ma espressiva quanto una cabina telefonica la protagonista femminile, interpretata dalla francese Corinne Marchand, verosimilmente imposta dalla coproduzione transalpina.
Peculiare il duello finale, che dopo l'incipit leoniano si svolge interamente fra le bare, nel labortorio di uno stralunato falegname.
Più che discreta la colonna sonora di Francesco De Masi.