sabato 4 agosto 2012

I quattro dell'Ave Maria

1968, di Giuseppe Colizzi. Con: Eli Wallach, Terence Hill, Bud Spencer, Brock Peters, Kevin McCarthy, Remo Capitani, Bruno Corazzari, , Livio Lorenzon.

Secondo capitolo della trilogia western di Colizzi, I quattro dell'Ave Maria con il suo ritmo scoppiettante ed i suoi dialoghi brillanti è forse addirittura migliore del pur ottimo predecessore Dio perdona... io no! La vicenda riprende là dove si era conclusa con il capitolo precedente (cioè a seguito del duello "esplosivo" con Bill Santantonio), e naturalmente i personaggi impersonati da Bud Spencer e Terence Hill sono i medesimi. Una consequenzialità logica e temporale più unica che rara nel mondo del western italiano dove, per contro, hanno sempre trovato terreno fertile i seguiti apocrifi, incentrati per lo più sul ratto del nome del pistolero più à la page del momento (Django uno dei più brutalizzati, soprattutto all'estero, dove nelle traduzioni avrebbero speso il nome del personaggio di Corbucci anche se il protagonista fosse stato Paperino, purché munito di cappellaccio da cowboy), in virtù del sacro botteghino. La pellicola, come accennato, presenta un incedere narrativo incalzante, grazie all'equilibrato melange di elementi presi a prestito da vari generi o sottogeneri: il revenge movie (la vendetta di Cacopoulos vei confronti dei suoi ex soci), il road movie (il continuo girovagare), l'heist movie (il "colpo" alla sala da gioco), il tortilla western (la trasferta messicana), tenuti insieme da una costante aura avventurosa in chiave picaresca - con qualche inevitabile concessione alla consueto cinico humor da "spaghetti" - a fare da delizioso collante.
E se da un lato continua la cementificazione del duo Spencer-Hill, con l'introduzione (seppur in maniera molto misurata: il film resta comunque uno spaghetti western "classico" a tutti gli effetti, cinico e dal body count non trascurabile) di alcune gag (come quella iniziale della posa fotografica o quella della sfida a cazzotti con il nerboruto boxeur di colore), che diverranno tipiche della coppia in futuro, d'altro canto viene affiancato ai due nascenti astri italiani, un gigante quale Eli Wallach, istrionico e sempre sopra le righe, che ci regala un'interpretazione che non ha (quasi) nulla ad invidiare a quella de Il buono, il brutto, il cattivo (la quale, certamente, prende a modello), che alla fine lo farà emergere come il vero protagonista, il perno centrale della trama. La scheggia impazzita che permette a Bud Spencer e Terence Hill di affiatarsi ulteriormete proseguendo per la loro strada, senza la preoccupazione di doversi sobbarcare completamente il peso della riuscita del film.
La chiusura è tutt'altro che brutta, ma la tipica valenza catartica (e spesso tragica) del duello viene un po' (forse troppo) stemperata dal tono lievemente farsesco e, soprattutto, dal fatto che mancano i morti ammazzati tra i contendenti principali: è un po' come una finale di coppa che termina zero a zero.

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